Attualmente, nel mondo, con l'espandersi del fenomeno della globalizzazione, si assiste al verificarsi di un particolare quanto drammatico fenomeno: ovunque viene garantita, anzi incentivata, la circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi, ma, al contrario, talvolta viene ristretta o limitata, la libera circolazione degli individui, specie quando essi provengano dalle zone più povere e travagliate del mondo.
Le migrazioni rappresentano spostamenti di popoli; la libertà di movimento, dunque di migrazione, rappresenta uno dei diritti fondamentali dell'uomo ed è assolutamente innegabile e non ulteriormente procrastinabile la ricerca di una soluzione dei problemi ad essa connessi.
Persiste, dunque, tuttora, una profonda contraddizione all'interno della nostra società. La forza lavoro rappresentata dai migranti, divenuti immigrati, è indispensabile nei Paesi di destinazione per i processi di produzione, ma la loro presenza sul territorio non è apprezzata al punto tale da accettare completamente che essi prendano parte attiva alla vita delle società alle quali apportano lavoro. Tale contraddizione non sempre emerge in tutta la sua crudezza.
Rappresenta un non senso favorire da un lato la legalizzazione dell'espatrio, la circolazione delle persone, la velocità dei processi di informazione, e cercare di frenare, dall'altro, gli effetti che derivano da queste circostanze, ovvero la completa integrazione degli immigrati.
Deve essere presa in considerazione l'effettiva partecipazione alla vita della società "ospite", poiché questo fa dell'immigrato, tendenzialmente considerato estraneo a tale società, un elemento fondamentale della sopravvivenza e dello sviluppo della medesima.
L'arrivo dei nuovi "cittadini" rappresenta per la società occidentale un’importante prova di democrazia e richiede la dimostrazione del concetto di accoglienza in senso ampio.
La dimensione in cui vanno inquadrati i fenomeni migratori per le ragioni viste finora, non può e non deve essere limitata ai confini nazionali; e, per quanto ci riguarda, dovrà essere sicuramente europea. I nuovi legami che uniscono i ventisette Paesi dell'Europa, e l'affermarsi delle quattro libertà fondamentali, hanno aperto, negli ultimi anni, una prospettiva nuova rispetto al passato.
Creare una società allargata, che rappresenti una dimensione di tolleranza e regole di diverse espressioni dell'umanità, non accettando logiche separatiste o pretese preminenze culturali, rappresenta l'ideale ampliamento della realizzazione di uno spazio unico senza frontiere.
Accanto alle libertà fondamentali sancite dal Trattato istitutivo non si possono non affiancare due aspetti fondamentali dell'essere parte di una Comunità mossa da ideali così importanti: il tema della cittadinanza europea, introdotto dal Trattato di Maastricht, e la difficile problematica rappresentata dall'occupazione, affrontato in ambito comunitario attraverso politiche specifiche e messo particolarmente in evidenza dal Vertice di Amsterdam.
L'Unione europea, ad oggi, rappresenta, come noto, una realtà ormai consolidata; tuttavia permangono alcuni ostacoli da superare, quali ad esempio il rischio, sempre attuale anche in una Comunità così solida, dell' esclusione sociale, e dell'ampliarsi della distanza tra cittadini dell'Unione ed Istituzioni comunitarie, che potrebbe via via degenerare nel disinteresse dei primi verso una entità che dovrebbe essere nata, cresciuta e mantenuta unicamente per essi.
Alla luce dei temi appena indicati, si potrebbe persino giungere ad ipotizzare l'esistenza, in questi anni, di un ideale doppio binario, rappresentato rispettivamente dai grandi temi discussi nei Consigli europei, che hanno costituito e costituiscono il tentativo di costruire l'Europa dei cittadini, e dai problemi rappresentati per i medesimi Paesi dalle migrazioni, che costituiscono anch'esse argomento di dibattito e riflessione nei succitati Consigli.
Vale a dire che principi quali la libera circolazione delle persone, la cittadinanza europea e la lotta all'esclusione sociale per il raggiungimento della coesione economica e sociale, hanno rappresentato e rappresentano, alcuni passaggi fondamentali per l’edificazione di una Europa solida, unita e, soprattutto, quanto più vicina possibile alla visione solidaristica che fino ad oggi l’ha distinta da altri sistemi occidentali.
Tali principi contribuiscono ad attribuire la giusta rilevanza a temi come l’uguaglianza dei cittadini ed il rispetto dei diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto ad una esistenza dignitosa ed al lavoro.
Questa è l’Europa che si intende costruire: uno spazio nel quale ad ogni essere umano sia garantita la propria dignità, e il riconoscimento della propria identità, dell’appartenenza ad un gruppo. L'Europa politica non si farà veramente se gli europei non proveranno un sentimento di appartenenza ad uno stesso insieme - in una definizione - non percepiranno più vicino il valore profondo della cittadinanza europea, che è costituita da diritti e doveri.
Il concetto di cittadinanza europea non rappresenta, dunque, una costruzione vuota, o addirittura pleonastica, ma, al contrario, si propone di dare ai cittadini dell'Unione europea un'identità comune che sinora, da un punto di vista politico, non si è completamente raggiunta.
Analogamente, per il delicato tema delle migrazioni, accanto alla indispensabile azione delle Istituzioni comunitarie, una indicazione forte dovrà provenire dai governi e dai cittadini della nuova Europa, cioè da coloro che per principio sono contrari ad ogni sorta di discriminazione (fondate sul sesso, religione, razza), i quali non potranno ammettere di accogliere all'interno del proprio tessuto, cittadini ai quali non vengano riconosciuti questi diritti.
Sarebbe opportuno realizzare un modello europeo di integrazione, poiché l’Unione europea si è dotata di una Carta imperniata su valori condivisi da tutti i paesi aderenti e le decisioni in materia di migrazioni, di cittadinanza e di inserimento sarebbe auspicabile fossero obiettivo di strategie comuni e condivise.
Le seconde generazioni. I cosiddetti “stranieri non immigrati”.
L’immigrazione straniera in Italia è entrata in una fase più matura caratterizzata dalla significativa presenza del contingente dei figli di immigrati. Una presenza consistente di minori indica il raggiungimento di una fase di stabilizzazione degli immigrati e, con cautela, può interpretarsi come una espressione di volontà di progetto migratorio a lungo termine e e un potenziale effetto/condizione di integrazione nel Paese ospitante. Al momento attuale, in Italia, i figli degli immigrati costituiscono un gruppo numericamente in forte crescita e composto in prevalenza da giovanissimi[1], che possiamo definire stranieri non immigrati.
Per la loro delicata condizione si situano in una posizione di frontiera: a metà intrisi dei valori dei genitori e quelli della scuola e della società in cui vivono.
La condizione di essere a metà fa intravedere la difficoltà di essere percepiti e accettati come “cittadini” nel nostro Paese. E la difficoltà nell’acquistare la cittadinanza italiana per i figli di stranieri, a causa del requisito predominante dello jus sanguinis, anche se nati in Italia, aumenta se si nasce fuori del territorio italiano.
Da queste brevi indicazioni possiamo capire che in Italia la cittadinanza si acquisisce prevalentemente per discendenza. Il vincolo di sangue con i genitore è, quindi, più forte del legame con il territorio nazionale.
Nascere in Italia non significa dunque ottenere necessariamente la cittadinanza italiana: tale è la condizione di un numero sempre più crescente di figli di immigrati. Spesso italiani per socializzazione, aspirazioni e conoscenza della lingua, ma in ogni caso, stranieri di fronte alla legge.
E l’insistenza sull’importanza della lingua non è affatto casuale, come vedremo più avanti.
Ed è sulle seconde generazioni[2] che si misura la riuscita del progetto di accoglienza e di costruzione di uno spazio senza conflitti, da un lato, e del progetto migratorio, dall’altro.
La prima generazione, quando giunge nel Paese di arrivo, infatti, è disposta – obtorto collo - a svolgere lavori pesanti, ripetitivi e malpagati, perché è consapevole della necessità di iniziare dal basso, non ha ancora assimilato i nuovi standard di vita e di consumo ed è abituata a condizioni di vita e di lavoro difficilmente accettabili per gli autoctoni, ma sempre migliori della miseria e delle scarse prospettive patite nel luogo natìo.
Per i figli degli immigrati, le seconde generazioni, le cose sono profondamente diverse. Questi giovani hanno vissuto l’infanzia e l’adolescenza immersi in una società ricca a contatto con i coetanei italiani e i loro genitori riversano su di loro aspettative, sogni, e desideri di riscatto sociale. Di conseguenza, le seconde generazioni raramente saranno disponibili ad accettare condizioni di vita come quelle incontrate dei genitori. Tuttavia, potranno essere costrette a ridimensionare drasticamente sogni e aspettative, sviluppando insoddisfazione, rancore e frustrazione.
Ed un primo rischio di conflitto può già nascere: se assimilano come modello gli standard di vita dei loro coetanei, non accetteranno mai di rimanere nella parte più bassa della sfera sociale. In altre parole, non accetteranno mai di svolgere le medesime mansioni cui hanno dovuto spesso piegarsi i loro padri.
In questa area di rischio debbono inserirsi gli interventi, tenendo conto che chi è emigrato non rappresenta il livello medio della popolazione del Paese di origine, poiché nelle migrazioni esiste un processo di selezione che fa giungere a destinazione solo i migliori, i più forti. Dunque, i loro figli saranno anch’essi motivati a migliorare e potranno recuperare in fretta il tempo perduto.
Sarà assolutamente necessario allontanare il rischio di innescare possibili conflitti sociali e agevolare l’inserimento. E’ importante che i giovani, soprattutto di seconde generazioni, pur restando orgogliosi e consapevoli delle proprie origini, riescano ad inserirsi pienamente.
La costruzione del capitale umano delle seconde generazioni si gioca soprattutto nella fase giovanile dell’educazione. Infatti, chi non riesce ad accedere a determinati livelli di istruzione e formazione, non arriverà ad alti livelli di reddito, né occuperà posizioni di rilievo.
Se non si “gestiranno” bene le seconde generazioni, non garantendo livelli elevati di istruzione ed elevazione culturale, sarà difficile integrarsi nelle fasce alte della società. Essere nato e cresciuto in Italia esprime spesso una situazione di vantaggio. Vivere la migrazione, essere costretti a sperimentare una doppia socializzare, interrompere il proprio percorso formativo e introdursi nel sistema scolastico italiano, magari senza le competenze linguistiche necessarie, possono porre degli svantaggi non sempre banali da superare e che possono innescare spirali di emarginazione e produrre i presupposti per l’insorgere di svantaggi futuri.
Molte possono essere le reazioni degli adolescenti immigrati rispetto al nuovo contesto. Le si possono descrivere come un continuum tra due estremi: da un lato, la soluzione che può essere definita resistenza culturale[3], che esprime un atteggiamento di chiusura e rifiuto nei confronti della lingua e della cultura della società di arrivo e il tentativo del ragazzo straniero di fare riferimento quasi esclusivamente alla lingua e al bagaglio culturale di origine. Anche le relazioni con i coetanei tendono ad esistere quasi esclusivamente con i connazionali e a volte si può notare un uso quasi magico della lingua originaria. Il non saper bene l’italiano conduce a formare gruppi omogenei in base al Paese di provenienza chiudendosi ancor di più nel proprio mondo fino ad innescare una sorta di circolo vizioso di auto/etero esclusione sociale.
All’altro estremo, si trova la soluzione legata al processo di assimilazione, quindi ad una adesione totale ai modelli e alla cultura d’accoglienza con un contemporaneo rifiuto per la lingua e gli atteggiamenti di origine processo che, però non è immune da rischi di conflitti, come accennato in precedenza, a causa delle difficoltà ad accettare standard di vita e condizioni sociali inferiori a quelle dei coetanei italiani.
Accanto a queste soluzioni se ne pone una terza definita della marginalità che sembra molto presente tra i ragazzi stranieri. Sono coloro che non si sento di appartenere a nessuna delle due culture e si collocano passivamente nei confronti di entrambe. Dopo diversi anni di soggiorno nel nostro paese non sanno parlare correttamente né lingua dei genitori né quella dei loro amici[4].
Pur nella consapevolezza che la velocità e le modalità di integrazione sono diverse per chi nasce nel paese di arrivo a fronte di chi vi giunge in tenera età, durante l’infanzia o l’adolescenza, è fondamentale ribadire che l’integrazione dei figli degli immigrati è necessaria e sarà una delle sfide principali nei prossimi anni.
Se i figli degli immigrati colmeranno gli svantaggi sociali che inevitabilmente li caratterizzano, potranno giocare alla pari con i loro coetanei italiani. In caso contrario, lo sviluppo di processi di emarginazione, dovuti a risacche sociali di scarsa integrazione, potranno provocare rilevanti problemi, generando insicurezza e razzismo.
Il processo di miglioramento e di contemporaneo contenimento del rischio sociale deve necessariamente passare attraverso quelle che comunemente dalla letteratura sono riconosciute come le dimensioni dell’integrazione. E’ ormai comunemente condiviso che l’integrazione, come il suo complemento (l’esclusione), rappresentino fenomeni multidimensionali e come tali vadano analizzati, impegnandosi ad individuarne correttamente le componenti e le modalità in cui possono manifestarsi. Proprio perché si tratta di un processo e articolato, l’integrazione può essere descritta soltanto mediante la selezione di alcune sue componenti, rivelate da opportuni indicatori statistici che con un certo grado di precisione la esprimono.
L’integrazione è stata variamente definita e rispetto al recente passato in cui si parlava di modelli (francese, tedesco, inglese, americano) ora si è più cauti. Tuttavia, tra le sue componenti quelle largamente riconosciute quali: abitazione, istruzione, occupazione, reti familiari, reti sociali, partecipazione politica sembrano in grado di assicurare un grado di approssimazione soddisfacente nella misura dell’inserimento degli immigrati. Livelli elevati riscontrati nelle dimensioni indicate potrebbero assicurare il successo sociale. A questo, al contrario, può contrapporsi una serie di ostacoli fra i quali le difficoltà legate alla lingua, a bassi o insufficienti livelli di capitale umano sociale e familiare a difficili condizioni economiche e a situazioni di disadattamento o frustrazione.
La realizzazione di indagini[5] ad hoc può contribuire ad indagare a fondo questi fenomeni.
Di certo un ruolo di primaria importanza è svolto dalla scuola, dal suo grado di apertura nei confronti di alunni con un bagaglio linguistico e culturale diverso, dagli investimenti nel sostegno, all’inserimento. Una delle questioni più urgenti che il minore straniero deve affrontare è quella legata alla conoscenza della lingua italiana. Questo problema è meno sentito dai bambini nati in Italia, mentre è di primaria importanza per tutti quelli che giungono nel nostro Paese, soprattutto preadolescenti e adolescenti con alle spalle un già ricco bagaglio culturale formatosi nel Paese d’origine, anche perché è lì che hanno iniziato il loro percorso scolastico.
La conoscenza della lingua del Paese dove si vive è la condizione necessaria per attivare la comunicazione e le relazioni sociali fondamentali per ogni persona.
Per chi vive un percorso migratorio la padronanza linguistica diventa ancor più strumento per la conoscenza e l’integrazione nel paese e nella società d’accoglienza.
Ma, ovviamente, l’attività svolta dalla scuola non è sufficiente. Si rivela fondamentale il ruolo dei genitori immigrati. Sarà determinante il loro grado di integrazione nella società di arrivo, sia per motivi economici sia perché quando l’integrazione dei genitori è difficile, se hanno poca autonomia, scarse competenze linguistiche e ridotta capacità di movimento nella società ospitante il loro sostegno nel processo educativo e nell’inserimento sociale dei figli potrebbe ridursi. Inoltre, il problema più rilevante è che lo status giuridico di questi minori dipende direttamente da quello dei genitori, provocando una situazione di precarietà esistenziale: la perdita del permesso di soggiorno del genitore può comportare l’entrata nella condizione di irregolarità dei propri figli, aggiungendo al minore anche il peso delle difficoltà e delle insicurezze dalla famiglia.
Alcune considerazioni sul tema della Cittadinanza
Le riflessioni sin qui maturate sulla complessa condizione delle persone che si trovano a risiedere regolarmente (o irregolarmente) sul territorio italiano pur non avendo lo status di cittadino - anche a causa delle difficoltà nell’acquisto della cittadinanza - e sul delicato tema delle seconde generazioni ci spingono ad interrogarci sui contenuti della cittadinanza e sulle intuibili trasformazioni che il fenomeno migratorio potrà apportare al suo significato attuale.
In particolare, la relazione tra cittadinanza e fenomeni migratori si presta a rilevare alcune delle trasformazioni importanti e alcuni dei rischi di degrado delle nostre democrazie. Guardare agli immigrati e agli emigrati permette di iniziare a rintracciare gli innumerevoli fili di cui si tesse la cittadinanza, fili che si dipanano e si intrecciano al di là dei confini degli stati, ma di cui gli Stati rappresentano ancora importanti “filatori”.(Zincone, 2005).
Primo significato del temine cittadinanza: cittadino contrario di straniero; in questo caso per cittadinanza si intende l’appartenenza ad uno Stato e, in generale, il ricadere sotto la giurisdizione di un certo ordinamento giuridico. Al cittadino viene concesso di risiedere liberamente sul territorio, di uscire e rientrare dai suoi confini. Per questo aspetto, molto più che per altri, la cittadinanza europea ha rappresentato una conquista rilevante: ha arricchito la libertà di movimento e di residenza nel territorio dell’Unione. L’appartenenza non ha solo una dimensione giuridica ha anche una dimensione culturale si può essere diventati giuridicamente cittadini ma sentirsi ancora membri del Paese da cui si è emigrati. Esiste una dimensione legata alla percezione personale e quella di ci circonda della cittadinanza come identità, come appartenenza ad una comunità che prescinde dalla dimensione giuridica e che può attraversare i confini degli Stati.
Altro significato: cittadino è il contrario di emarginato; per cittadinanza si intende una dotazione comune, un insieme di protezioni e di benefici materiali garantiti pubblicamente a tutti i membri di una comunità pubblica. Marshall ha osservato che la cittadinanza attribuisce a tutti i cittadini, oltre ai diritti civili e politici, anche i diritti sociali: a tutti spetta un grado di educazione, di benessere e di sicurezza sociale che commisurato agli standard prevalenti entro la comunità politica.
La cittadinanza sociale, come ha sostenuto Marshall, non può proporsi l’eguaglianza dei redditi, ma può comunque garantire una tendenziale equiparazione tra i cittadini dal punto di vista della salute, dell’occupazione, dell’età e delle condizioni familiari.
La cittadinanza individua un patrimonio comune che appartiene a ciascun essere umano. Vi sono diritti che appartengono profondamente all’umanità stessa, e non possono essere negati.
Ma quale deve essere, in concreto, lo spessore della cittadinanza? Ci si può appagare di una cittadinanza minima, sottile, che consiste nell’attribuzione di una quota ridotta di diritti, circoscritta a quelli civili e politici, con una riduzione radicale di quelli sociali[6]? In tal caso, non vi sarebbero considerevoli differenze con coloro che non hanno lo status giuridico di cittadini. La nuova cittadinanza muove da una considerazione integrale della persona e la proietta al di là delle distinzioni tradizionali tra diritti civili, politici e sociali. Se si guarda alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ci si avvede come essa abbia fatto cadere la barriera tra le diverse categorie di diritti, affermandone l’indivisibilità, facendole tutte partecipi della medesima e forte natura di diritti fondamentali e attribuendo alla cittadinanza uno spessore che li comprende tutti[7]. E per questo deve essere caratterizzata da elementi distintivi profondi che evitino il pericolo della standardizzazione dei diritti.
E, ancora, oggi chi è più cittadino? Il figlio di italiani emigrati di prima o seconda generazione con doppio passaporto e cittadinanza italiana, che non conosce la lingua e le tradizioni italiane e spesso non ha alcun rapporto con il territorio dei genitori o dei nonni? Poiché, come appena accennato, è considerato cittadino italiano il figlio di padre o madre cittadini italiani (art. 1 della Legge 91/1992); è dunque cittadino italiano anche il figlio nato all’estero da un cittadino italiano. Il possesso della cittadinanza italiana per nascita si trasmette di genitore in figlio indipendentemente dal luogo di nascita[8] e dal possesso della cittadinanza di un paese straniero acquistata per nascita nel paese straniero[9]. Oppure chi, figlio di immigrati stranieri in Italia, nato in Italia, solo a 18 anni potrà scegliere se essere cittadino italiano, pur parlando perfettamente la lingua e vivendo quotidianamente nel contesto sociale italiano?
Da un punto di vista giuridico, ovviamente, dobbiamo individuare nel primo soggetto il titolare del diritto di cittadinanza, ma in termini di dotazione dei diritti e di loro uso concreto, il secondo soggetto potrà usufruire della gran parte dei diritti civili e sociali di cui godono i cittadini. Ampliando ulteriormente il terreno sul quale effettuare confronti, anche gli immigrati regolari godono dei medesimi diritti (almeno in materia di previdenza ed istruzione. Maggiori restrizioni si hanno nel settore dell’assistenza). Lo stato sociale per gli immigrati in Italia è abbastanza solido. La differenza sostanziale con i cittadini a tratti sfuma a tal punto che da più parti si rileva come in Italia vi sia un profondo squilibrio tra una sostanziale generosità di diritti nei confronti degli immigrati (persino irregolari[10]), ma persista una certa riluttanza nel concedere la cittadinanza estesa ai lungo residenti regolari. Creando una maggiore distanza formale tra immigrati (persone) e cittadini. (Zincone, 2005)
Procedendo nell’esame delle trasformazioni che il significato e i contenuti della cittadinanza possono subire ad opera della pressione impressa dal movimento migratorio, un ultimo punto è rappresentato dalla riflessione se la cittadinanza debba considerarsi uno strumento di integrazione, o meglio, inserimento nella società ospitante, o, al contrario, interpretando alcune recenti tendenze, debba essere concessa in virtù di un accertato grado di integrazione raggiunto, dunque, di un risultato già pienamente realizzato, che necessiti soltanto di un riconoscimento. In quest’ultimo caso, non si potranno trascurare le difficoltà legate alla misura dell’integrazione e all’individuazione corretta delle sue dimensioni cui si faceva precedentemente cenno.
Conclusioni
Alla luce delle considerazioni formulate sul formidabile ruolo che la cittadinanza sia in grado di giocare nei confronti delle differenze tra persone e cittadini appare auspicabile pensare che l’inserimento debba configurarsi come un processo che proprio l’acquisto della cittadinanza possa agevolare e portare a compimento.
E l’integrazione dei figli di immigrati, assolutamente necessaria per dare corpo a questo processo, sarà una delle sfide principali nei prossimi anni. Se i figli degli immigrati colmeranno gli svantaggi sociali che inevitabilmente li caratterizzano, potranno giocare alla pari con i loro coetanei italiani.
Non sembra ipotizzabile, nell’Europa del futuro, quindi, che vi possano essere persone cui venga attribuito lo status di cittadino europeo, corredato da una serie di diritti e doveri, ed altre categorie di soggetti - i protagonisti del fenomeno migratorio - per i quali si prospetti un cammino diverso rispetto a quello intrapreso per i cittadini europei.
Una società che consente al suo interno il formarsi di una sottoclasse svantaggiata crea gruppi che non si riconoscono nei valori su cui si fonda la società stessa e che finiscono per costituire un serbatoio di emarginazione al quale attinge la criminalità organizzata.
L'esclusione sociale è esattamente l'opposto della cittadinanza.
L'escluso è un non cittadino.
Approfondimenti bibliografici
Ambrosini M., Molina S., (a cura di) (2004), “Seconde Generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia”. Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino.
Andall J.,(2003), “Italiani o stranieri? La seconda generazione in Italia”,in Sciortino G. e Colombo A. (a cura di), “Stranieri in Italia. Un’immigrazione normale”, Il Mulino, Bologna.
Caritas/Migrantes (2004), “
Dalla Zuanna g., et al. (2005), “La seconda generazione: una nuova vecchia storia”, in Livi Bacci M. (a cura di) “L’incidenza economica dell’immigrazione”. Giappichelli Editore, Torino.
ISMU (2004), Nono Rapporto sulle migrazioni 2003, Franco Angeli, Milano
ISTAT (2005), Gli stranieri in Italia: analisi dei dati censuari, edizione provvisoria
Marshall T.H. (1950), Citizenship and Social Class, Oxford,Oxford University Press.
Mazza S., (2002), Le migrazioni nell’Europa dei cittadini, in “Le migrazioni nelle relazioni internazionali”, Quaderni di Studi Europei, Giuffrè, Milano
Mazza S., (2006), Le migrazioni e la cooperazione euro-mediterranea, in Studi Emigrazione, n. 161 (marzo 2006), CSER , Roma.
Mazza S., (2007), Sovranità e cittadinanza: dall’esclusione alla compatibilità, in Cagiano de Azevedo R., “Le migrazioni internazionali, Giappichelli Editore, Torino.
Pastore F., (2004), Dobbiamo temere le migrazioni? Roma-Bari, Laterza.
Strozza S., (2006) “Le seconde generazioni in Italia: il punto della situazione”, Università di Roma “
Zincone G., (2005), “Cittadinanza e migrazioni: un’applicazione al caso italiano”, in Livi Bacci M. (a cura di) “L’incidenza economica dell’immigrazione”. Giappichelli Editore, Torino
[1] La percentuale dei minori nella popolazione straniera è sensibilmente più alta rispetto a quella della popolazione italiana: 21,3% nella prima e 17,2% nella seconda. Tra i minori stranieri nati in Italia oltre il 70% ha un’età compresa tra 0-5 anni.
[2] Secondo gli studiosi sono da intendersi per:
Seconda generazione: figli nati in Italia da genitori immigrati.
Seconda generazione “mista”: figli nati da un genitore immigrato e uno italiano (è l’unica categoria che può ottenere la cittadinanza italiana dalla nascita)
Generazione 1,5 o quasi seconda generazione: figli di immigrati giunti in Italia con i genitori dopo la nascita. Occorre distinguere tra coloro che hanno vissuto la migrazione nella prima infanzia (età pre-scolare) o a percorso scolastico avviato. I primi potrebbero far parte della seconda generazione.
A rendere più complesso il quadro vi sono quei bambini nati in Italia e mandati a trascorrere l’infanzia per periodi più o meno lunghi nel Paesi di origine dei genitori (con il rischio di non possibile acquisizione futura della cittadinanza italiana a causa del mancato rispetto della continuità di residenza sul suolo nazionale).
La complessità delle situazioni che possono verificarsi ci spinge a parlare di seconde generazioni in una accezione larga del termine.
Tale è l’importanza che riveste l’essere nati o giungere in età più avanzate nel paese di arrivo nel processo di inserimento che molti studiosi considerano l’essere figlio di immigrati come una variabile continua anziché discreta.
[3] Riscontrabile soprattutto in coloro che sono giunti nel Paese di destinazione in età più avanzata.I ragazzi che vivono un’esperienza di migrazione in età preadolescenziale ed adolescenziale devono aggiungere, ai turbamenti ed agli squilibri tipici di questa fase della vita , tutte le difficoltà che questo cambiamento comporta.
L’arrivo nel nuovo Paese e l’incontro con gli altri, con i coetanei autoctoni, hanno anche spesso l’effetto di mettere in discussione l’immagine di sé.
[4] Osservatorio delle Immigrazioni. Stranieri non immigrati. I figli degli immigrati. Seconde generazioni in provincia di Bologna. Anno 2005, n. 3.
[5] Una recente indagine condotta dal Prof. Dalla Zuanna sulle seconde generazioni in Italia che aveva come scopo di individuare quali siano gli elementi che – più di altri – determinino il buono o cattivo esito del processo di inserimento del giovane figlio di immigrati
ha messo in luce i maggiori ostacoli al buon inserimento e i rischi che i minori stranieri possono incontrare.
[6] I diritti sociali sembrano aver perso i requisiti di universalità e dell’azionabilità giuridica. Alcuni autori sottolineano la crescente tensione fra i diritti dei cittadini e le aspettative di masse crescenti di migranti che si accalcano ai confini dei paesi industrializzati alla ricerca di una vita migliore. I migranti oggi esercitano una irresistibile pressione per l’uguaglianza. Ed è la stessa nozione di cittadinanza che sembra sfidata dalla loro fondata richiesta di diventare cittadini pleno iure dei Paesi dove vivono e lavorano. (Zolo D., “Quante sono le forme dell’appartenenza”,
[7] Rodotà S., “Cittadinanza: Quel diritto che ci rende più uguali”,
[8] Il requisito della discendenza svolge un ruolo decisivo nell’accesso alla cittadinanza in particolare in Italia che non l’ha affiancato con integrazioni di jus soli e jus domicilii. Taluni ravvisano in questa scelta una eccessiva discriminazione nei confronti degli immigrati che provengo da Paesi esterni all’UE a fronte di un maggiore favore nei confronti degli stranieri di origine nazionale.
Questo ci spinge a fare alcune riflessioni. In primo luogo, in presenza di un fenomeno che stabilmente interessa il nostro Paese, viene mantenuta una concezione legata al vincolo familiare: la cittadinanza viene ottenuta in massima misura per discendenza e per matrimonio. In secondo luogo, quali fattori determinino l’imponente richiesta di cittadinanza da parte di immigrati italiani all’estero a fronte di una opposta scarsa richiesta da parte di stranieri immigrati in Italia.
Varie possono essere le spiegazioni, prima fra tutte - e più banale - è che l’Italia è un Paese di relativamente recente immigrazione e il fatto che spesso il progetto migratorio non preveda una decisione di stabile insediamento. Inoltre, che l’acquisizione della cittadinanza spesso porta con sé il senso di rifiuto della identità cultura con il Paese di origine e questa circostanza può rappresentare un freno alla richiesta.
[9] Molti Stati, in realtà, pongono dei correttivi per il mantenimento della cittadinanza per le generazioni successive alla seconda residenti all’estero. La sottintesa finalità è quella da un lato, di impedire un uso opportunistico della cittadinanza e, dall’altro, di garantire la presenza attiva del soggetto nella società civile ed economica. Proprio per evitare la mera ereditarietà nella trasmissione della cittadinanza.
[10] Anche gli irregolari godono per legge dei diritti essenziali (assistenza sanitaria e accesso alla scuola pubblica). Per i minori irregolari, l’accesso alla scuola è obbligatorio e gratuito.
Nessun commento:
Posta un commento